1 Febbraio 2022

EINST I’M MAI/ERA DI MAGGIO

ARTE E TERRITORI DI LIBERTÀ

“Era di maggio” … è con questo titolo, che Claudio Di Carlo realizza una mostra dalla valenza fortemente politica. Amburgo, Roma e Berlino sono le sedi dove viene presentata, in spazi connotati dal confronto tra arte e idee, tra arte e pubblico, tra arte e movimenti. Rigoroso è il riferimento alla vita contemporanea, nei suoi aspetti caotici, sporchi, erotici, politici, che l’artista avvolge di una patina glamour per rendere tutto mediatico, virtuale, asettico. Un’epoca in cui la scomparsa della politica e la spettacolarizzazione tendono ad annullare la realtà nascondendo le forze vitali che in essa si muovono. Come fare a decontaminarsi da questo equivoco? L’artista sceglie di mettere in gioco singoli elementi, relazionando i loro livelli di comunicazione in maniera orizzontale.
Partiamo dal titolo. “Era de Maggio” è una tra le più note canzoni d’amore napoletane, una poesia di Salvatore Di Giacomo messa in musica da Mario Costa nel 1885. E’ inevitabile il confronto con “Canzone di Maggio“di Fabrizio De André o “Concept album” o “Storia di un impiegato”. Come molti ricorderanno, dietro alla scrittura e alla realizzazione di questo album c’erano le vicende del Maggio francese, una rivolta spontanea, di natura sociale, politica e filosofica, indirizzata contro la società tradizionale, il capitalismo, l’imperialismo e, in prima battuta, contro il potere gollista. “Il est interdit d’interdire” – è vietato vietare – è il motto famoso che resta il simbolo del ’68, uno dei più importanti movimenti sociali della storia del XX secolo.
Da qui, andando a ritroso, la festa del 1° Maggio. In effetti, poca festa e molta rivolta: hanno inizio negli Stati Uniti, il primo maggio del 1886, i primi scioperi ad oltranza organizzati dalla “Federation Trade and Labor Unions” che solo a Chicago causarono 11 morti ed un centinaio di feriti.
Tre anni dopo il Congresso della Seconda Internazionale decretò di organizzare una manifestazione a data fissa, con esclusione dell’Italia, dove il presidente del Consiglio Francesco Crispi intimò ai prefetti di reprimere sul nascere qualsiasi manifestazione di piazza. L’anno dopo a Roma si svolse la prima manifestazione: negli scontri tra polizia e dimostranti si ebbero due morti e decine di feriti.
A tutt’oggi la manifestazione del 1° Maggio di Berlino rimane una delle più calde, questo uno dei resoconti:
BERLINO -1° Maggio 2003 – ore 12,08 – Un centinaio di persone sono state fermate la notte scorsa a Berlino dopo scontri tra manifestanti e poliziotti – tra i quali ci sono stati 29 feriti di cui uno grave. I primi incidenti sono scoppiati verso la mezzanotte in margine a una manifestazione pacifista di circa 6.000 persone al Mauerpark (parco del muro). Più o meno duecento manifestanti hanno lanciato petardi e proiettili verso le forze dell’ordine che hanno usato lacrimogeni e idranti. Anche l’anno scorso la situazione era degenerata nello stesso punto, dove un tempo passava il Muro di Berlino. Oggi a Berlino sono attesi 20.000 manifestanti divisi in cinque diverse manifestazioni, da estrema destra a estrema sinistra passando per i sindacati. Saranno mobilitati 7.500 poliziotti.
La citazione o la semplice evocazione di questi eventi, e di tanti altri di natura simile, per evidenziare che in molti casi, e in quello di Claudio Di Carlo particolarmente, i rapporti tra arte e politica sono alla base di questioni teoriche e sociali fondamentali della nostra storia. Ma Claudio Di Carlo si stacca dagli esempi noti come Guernica di “Pablo Picasso” oppure I funerali di Togliatti, opera realizzata da Renato Guttuso nel 1972 e considerata il manifesto dell’antifascismo. O, ancora, Him l’opera di Maurizio Cattelan del 2001 che rappresenta Hitler con un corpo di bambino inginocchiato in preghiera … e potremmo andare avanti ancora per molto. Ciò che importa, comunque, è il fatto che Claudio Di Carlo ha una peculiarità ben definita che consiste nel creare un mix dal carattere essenzialmente post-modern (facendo sua la dichiarazione di Tony Cliff che definiva il post- modernismo “La teoria del rifiutare le teorie”) di ascendenza punk, nel suo affrontare tematiche ruvide e d’impatto e nel rifiuto per qualsiasi forma di controllo, soprattutto il controllo sociale esercitato dai mass- media e dalle organizzazioni religiose. E’ seguendo questi principi che l’artista mostra nelle sue opere l’altra faccia della realtà. Il territorio dell’esistenza storica, la zona d’ombra dove si consumano crimini, delitti, sopraffazioni, viene da lui rappresentato, comunque, con lo stesso glamour proprio della realtà virtuale e dei suoi messaggi subliminali, perché il pubblico possa percepire il vero come “vero” e il reale come “reale”.
Ma veniamo alle opere. Prima di parlare di quelle in cui appaiono i manifestanti, guardiamo quella che si intitola Pietà, dedicata alle morti degli operai sul lavoro, alle morti bianche, all’operaio ignoto, l’opera che costituisce il punto chiave di tutta la mostra.
I personaggi che rappresentano una Pietà contemporanea sono gli unici due modelli (Miriam Mabutori e Alessandro Gabini) fotografati dal vero dall’artista. Da precisare che, come in tutte le altre opere, dalla foto l’artista passa al dipinto su tela. La donna, naturalmente assimilata alla Madonna che accoglie tra le sue braccia il corpo del figlio morto, appare una via di mezzo tra prostituta e sex-symbol. La sua bellezza e la decontestualizzazione di cui è oggetto provocano un sentimento dilaniante che, in più, si accresce man mano che si analizzano la figura maschile e il contesto nel quale la scena si svolge. Anche l’uomo, Cristo o operaio, ci appare un sex-symbol e la sua morte ha un qualcosa di lascivo. Appare un essere bello, ma incapace di difendersi. Alle loro spalle il crollo di un edificio, di un cantiere, rappresenta uno scenario metropolitano che sprigiona il fascino delle geometrie e dei materiali high-tech.
E’ seguendo lo stesso metodo di decostruzione e decontestualizzazione, che l’artista, nelle altre opere della mostra, fa apparire di fronte ai manifestanti del 1° Maggio Internazionalista un’attrice o una modella smaccatamente mediatiche. Anche qui il doppio senso invade la scena e trasporta la carica sensuale ed erotica nell’area della passione politica e della rivendicazione dei diritti civili.
Quella che ci appare è una società dal volto cambiato, se vogliamo stravolto, ma pur sempre desiderosa di conquistare nuovi spazi di libertà.

Francesca Pietracci

 

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